Ho fatto l’illustratore per libri e giornali per buona parte della mia vita e ancora continuo a farlo.
Per essere precisi, ho cominciato prima con la satira politica e poi con i fumetti, pubblicandone alcuni sul mensile della Mondadori Il Mago e uno, più tardi, su Metal Hurlant.
Ho lavorato come illustratore e vignettista per la stampa quotidiana e periodica, per Le Monde, per La Stampa e per La Repubblica e ho collaborato con numerosissimi editori italiani e stranieri che hanno collane dedicate all’infanzia (Einaudi, Mondadori, E.Elle, Piemme, Giunti, Gallucci, Hosborne, Grimm Press, Henry Holt, Gallimard ecc. ecc.) illustrando spesso testi di cui ero l’autore.
La pittura è arrivata abbastanza tardi. Ne sarei stato tentato, ma mi disorientava il panorama dell’universo artistico contemporaneo, dove sembrava che non ci fosse più spazio per le tecniche tradizionali e per la figurazione in particolare. Nell’illustrazione mi sentivo al riparo dal furore sperimentalista ed ero anche in pace con la mia storia di ex militante sessantottino, dal momento che lavoravo per la carta stampata destinata al vasto pubblico e non per i pochi privilegiati che frequentano le gallerie.
Non avevo nemmeno bisogno di pensarmi artista e cioè qualcuno votato a esprimere a tutti i costi la profondità dell’anima sua.
Finii però per dovermi confessare proprio questo: l’illustrazione (per lo meno quella che a me capitava di praticare) non mi permetteva di esprimere, se non in modo assolutamente parziale e intermittente, la mia vena poetica profonda, che per l’appunto era proprio quello che volevo e dovevo fare in questa mia vita.
Fu così che cominciai a dipingere, con i colori a olio su tela, iniziando un percorso artistico che muove i suoi passi sulla strada aperta dalla Metafisica e dal Surrealismo e che però si ritrova, allo stesso tempo, abbastanza lontano da entrambe.
La pittura che via via ho imparato a dipingere si nutre di immagini in cui diviene labile il confine tra la memoria e il sogno e fa costantemente ritorno alla classicità e al mito mediterraneo.
Evoca spazi architettonici che fanno da contrappunto a una natura vitale e misteriosa di acque marine, alberi giganteschi e foreste.
Le architetture ubbidiscono quasi sempre a una misura classica, a volte solo ricordata per accenni o imitata, come nelle dimore della villeggiatura al mare di una volta. Esse sono il luogo della memoria personale, dell’infanzia, del riparo intimo, della luce accesa nella stanza calda, mentre fuori la tenebra incombe.
Ma sono spesso anche il luogo dove aleggia il desiderio, nelle forme di un’antica statua di Afrodite o in quelle di una donna in carne ed ossa.
Oltre lo spazio che mura, balaustre e finestre delimitano, si aprono selvagge distese di spiagge e di mare, di rocce, di alberi e colline ricoperte di macchia, territori di una memoria molto più antica, smisurata e profonda in cui siamo stati alghe, alberi e nuvole, pesci, cani e scimpanzé.
Tra la presenza della natura, infine, e le architetture che la limitano, offrendola allo sguardo, si avverte forse la nostalgia della bellezza che ha lungamente abitato il mondo incontrastata e che ancora lo abita, emanando dai luminosi orizzonti dell’anima.
I colori a olio sulla tela consentono di lavorare con intensa lentezza, ubbidendo alla necessità che la pittura ha di venire alla luce e compiersi secondo la sua propria interna ragione.